Il progresso inevitabile

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Il conservatorismo è istinto naturale: lottiamo per non perdere ciò che abbiamo. In quest’epoca di cambiamenti troppo rapidi, l’ottimismo verso il futuro è ormai svanito, lasciando spazio a un risentimento verso le élite, colpevolizzate per imporre un progressismo dall’alto. Questo pensiero si traduce in utopie di decrescita felice o in una narrazione cospirativa.

Tuttavia, la realtà, difficile da accettare, è che, né i governi, né il capitalismo, né le diseguaglianze, né i media ne sono la vera causa. Il cambiamento —in peggio— che ci angoscia è infatti dovuto all’entropia, ovvero una legge fondamentale della natura che la nostra volontà non potrà mai abrogare. I falsi miti del regressismo sono quindi, per l’appunto, illusori, quando non addirittura controproducenti, ed è un errore volerli credere. Possiamo infatti scegliere di ignorare la realtà, ma non possiamo scegliere di ignorare le conseguenze dell’aver ignorato la realtà.

La storia dell’Umanità è la storia del passaggio unidirezionale e incessabile da un Universo a maggior disponibilità di energia verso un Universo progressivamente più degradato. In questo senso è giustificato l’adagio nostalgico “si stava meglio quando si stava peggio”. L’innovazione, contrariamente alla convinzione comune, non si sviluppa nei periodi tranquilli per puro desiderio, ma nei periodi di magra come risposta alla necessità.

In origine tutto quanto occorreva all’uomo era immediatamente disponibile in natura. Se non fosse stato per l’aumento della popolazione l’umanità non si sarebbe vista costretta a inventare l’agricoltura. Analogamente, il passaggio al carbone avvenne dopo che le risorse forestali, più facilmente accessibili, si esaurirono all’inizio della storia moderna. E lo stesso principio si applica successive rivoluzioni industriali e l’attuale complessità tecnologica, foriera di fatica mentale.

Non possiamo quindi farci nulla se il mondo è stato giovane e forte e ora è debole e vecchio. Noi stiamo ora vivendo una confusa fase di passaggio, intenti ad accapigliarci fra un immobilismo disperatamente aggrappato a un mondo in disfacimento e forme di progressismo irrazionale, prospettiva che, tuttavia, costituisce semplicemente una forma alternativa di immobilismo. Gli idrocarburi sono una variabile determinante della crisi attuale.

Metabolizzare questa realtà, dal sapore apocalittico, non deve gettare nello sconforto. La natura umana è intrinsecamente affamata di vita. Ci si affidi piuttosto ai saggi insegnamenti dello stoicismo: l’ossessione per ciò che non è in nostro controllo è la via per l’infelicità. Dobbiamo quindi focalizzarci su ciò su cui possiamo agire. Si guardi la bottiglia mezza piena: non l’energia perduta, ma l’energia ancora disponibile.

Come sosteneva Darwin, non è la specie più forte o la più intelligente a sopravvivere, ma quella che si adatta meglio al cambiamento. L’unica soluzione a una crescente complessità è un continuo miglioramento dei propri metodi: accettare dunque la necessità del progresso e impegnarsi nella sua prosecuzione.

Tuttavia, è fondamentale procedere con giudizio. Se le degenerazioni più tossiche del consumismo sono dannose, le ideologie della decrescita sono ancora peggio. Persino Gramsci polemizzava con chi in opposizione alla “grande fabbrica” predica “l’ideologia scema sul ritorno all’artigianato”[1].

La virtù, come spesso accade, sta nel mezzo. Occorre capire, numeri alla mano, quali soluzioni ci permetteranno realmente di navigare in un mondo sempre più degradato, senza eccessive controindicazioni. Beni di qualità e durevoli, l’energia nucleare, l’urbanizzazione, gli OGM, la meccanizzazione dell’agricoltura, la pianificazione famigliare, l’intelligenza artificiale e una struttura del lavoro altamente specializzata (anche se alienante), spesso a torto visti come nemici, sono i nostri principali alleati.

Il progresso scientifico e tecnologico sta diventando un obiettivo sempre più difficile da raggiungere[2], in pratica dobbiamo impegnarci sempre di più per ottenere sempre di meno. È quindi fondamentale canalizzare i nostri sforzi sempre più oculatamente.

Nazioni come l’Olanda e la Svizzera sono esempi di successo di coesistenza fra qualità della vita e società avanzata. È infatti stupefacente quanto siano vivibili i Paesi Bassi, nonostante la loro densità di popolazione e il grado di industrializzazione. L’impressione è quella di trovarsi in una immensa città giardino: nei centri storici, così come nelle periferie il traffico è contenuto anche nelle ore di punta e qualsiasi destinazione è raggiungibile in bicicletta in completa sicurezza. E, pur disponendo di un territorio minuto, sono divenuti il secondo esportatore di cibo al mondo[3], ma le campagne conservano un paesaggio idilliaco e sono abitate da infinite varietà di uccelli.

Nella scarsità di risorse conviene limitare il superfluo, riconoscendo che il consumismo e il turismo frenetico non sono vie scalabili alla felicità nel lungo termine. La povertà non rappresenta un bene spirituale in sé, ma riduce la vita a mera sopravvivenza, priva di una dimensione spirituale. È l’introspezione a rivelare ciò che è realmente importante per noi. Lo studio, la lettura, i piaceri semplici e la frequentazione degli amici sono esempi di occupazioni gratificanti a basso consumo energetico. In fin dei conti basta poco per essere felici, ma senza abbandonarsi a illusioni primitiviste o nostalgie di stati termodinamici irrimediabilmente perduti.

Riferimenti

  1. Quaderni del carcere Gramsci, A, pp. Quaderno 5 § 105.
  2. Stagnation and Scientific Incentives[URL] Bhattacharya, J and Packalen, M, 2020. National Bureau of Economic Research. DOI: 10.3386/w26752
  3. This Tiny Country Feeds the World[URL] [URL consultato il 26 agosto 2023]
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