Il futuro è di chi partecipa

Nel 1946 l’Italia decise se essere una monarchia o una repubblica. Riguardo a questa dicotomia, un uomo contemporaneo concluderebbe sbrigativamente che la seconda forma di governo è certamente quella più giusta, più moderna, più rappresentativa del volere del popolo.

Eppure pare che i paesi monarchici nel mondo non se la passino male: Gran Bretagna, Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo, Danimarca, Svezia, Norvegia, Spagna, Vaticano, Monaco, Andorra, Liechtenstein, Canada, Australia, Giappone, Nuova Zelanda.

Si confonde la forma nominale del governo con l’effettivo stato di salute della vita pubblica. Questa mancanza di profondità è un ostacolo all’esercizio democratico, in quanto inerentemente complesso.

Si riflette poco sulle basi su cui poggia il potere, preferendo l’interpretazione semplicistica della dicotomia popolo-governo, madre di tutta l’antipolitica. Si vuole credere che un governo autoritario sia necessariamente contro il popolo e si crede che basti sostituirlo per dare soddisfazione a un presunto volere monolitico del popolo garantendo così la felicità universale.

Ma sfugge che la volontà del popolo non è affatto monolitica e sfugge che, alla lunga, è sempre il volere di una maggioranza a esprimere l’autorità. Ed è sempre stato così. In una democrazia è reso evidente nelle votazioni, ma anche le dittature sono generalmente sostenute da un ampio consenso popolare. Magari, semplicemente per mancanza di alternative, o per paura della libertà o perché a un salto nell’ignoto e si preferisce un rassicurante status quo (e non a torto: la stabilità è un valore in sé).

In alcuni casi il potere è imposto con la forza e la repressione, ma si tratta di situazioni transitorie, prima o poi una breccia farà crollare la diga.

È una realtà sgradevole da accettare. È più confortevole credere che le maggioranze siano sempre bel giusto e che ogni desiderio possa essere soddisfatto sconfiggendo una non meglio precisata élite fortemente minoritaria. Piove, governo ladro! Questa convinzione spesso sfocia nel pensiero complottista.

Eppure il volere di una maggioranza non è necessariamente la scelta giusta, a volte nemmeno per la maggioranza stessa. Quante volte, individualmente, compiamo scelte per noi stessi di cui ci pentiamo?

Occorre interiorizzare che il potere è un difficile esercizio, frutto di un vortice di relazioni interpersonali dove il Dilemma del Prigioniero è anche il nostro dilemma e cui è nel nostro interessa partecipare e influenzare. Possiamo credere che i diritti individuali non debbano essere soggetti all’opinione pubblica ma non possiamo aspettarci che vengano serviti su un piatto d’argento. In fin dei conti, la Svizzera ha preservato la libertà grazie alle armi. L’anarchia, vivere su un isola personale, le criptovalute, sono solo utopie tratte dal libro dei sogni.

Non possiamo quindi ignorare di essere animali politici, e siamo nostro malgrado costretti a costruire legami. E per dominare una realtà sempre più complessa, anche le strutture sociali dovranno necessariamente diventare più complesse.

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