La tassazione antiprogressiva

Sarà impopolare, ma ritengo sia giusto che un miliardario paghi un’aliquota inferiore a un operaio.

In effetti, ciascuno di noi consuma beni collettivi in maniera pressapoco eguale. Bill Gates consuma all’incirca la stessa quantità di ossigeno e di asfalto di un impiegato del McDonald’s.

Tuttavia, un aliquota del 30% sull’imponibile di un miliardario è, in valori assoluti, ordini di grandezza superiori alla medesima percentuale pagata dall’impiegato del McDonald’s. Pertando un miliardario inietterà nella fiscalità generale una cifra mostruosamente superiore a quanto gli potrà mai tornare indietro. Al contrario, chi riceve uno stipendio molto basso, anche pagando tutti i contributi, sarà comunque, dal punto di vista fiscale, un peso per la collettività. È una elementare questione di aritmetica.

Questa assunzione per cui, attraverso una tassazione non sufficientemente progressiva il ricco stia rubando al povero, non trova una giustificazione razionale ed è motivata dall’invidia sociale. Per imprinting culturale accettiamo il dogma secondo cui il ricco è a priori un parassita mentre il povero uno sfruttato. Ma i dogmi vanno sfidati con i fatti. E i numeri dimostrano che, in presenza di un sistema di welfare, è vero il contrario.

Oggi, quasi il 43% degli italiani dichiarano redditi quasi nulli contribuendo a un misero 1,73% delle entrate, mentre un esiguo 14% dei contribuenti con redditi dai 35mila euro in su deve corrispondere da solo il 63% dell’Irpef totale[1].

Tale sistema di redistribuzione del debito è profondamente iniquo e occorre mettere un freno alla insaziabile voracità del fisco. E occorre anche mettere un freno al populismo anticapitalista sostituendolo con un senso di gratitudine verso chi crea ricchezza e contribuisce al benessere di tutti.

Riferimenti

  1. Settima regionalizzazione sul bilancio del sistema previdenziale italiano[HTML] , 2023. Centro Studi e Ricerche di Itinerari Previdenziali.
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