Perché non possiamo non dirci americani

Washington attraversa il fiume Delaware, olio su tela del 1851, opera di Emanuel Leutze

«Tra i tanti luoghi comuni di natura ossessiva nei quali inciampiamo, uno dei più fastidiosi è la paura dell’americanismo»[1]. Non è facile notarlo, quando ci si è immersi fino al collo, ma fateci caso: qualsiasi male del mondo, in qualche modo deve essere colpa degli USA:

  • se intervengono in una guerra, sono guerrafondai;
  • se però non intervengono, sono ipocriti che si voltano d’altra parte;
  • se dislocano imprese all’estero, sono sfruttatori;
  • se invece producono in patria, sono egoisti chiusi nelle loro ricchezze;
  • se contrastano l’immigrazione domestica, sono razzisti;
  • se invece la permettono, sono schiavisti;
  • se divulgano le loro conoscenze, è imperialismo culturale e corruzione;
  • se invece si lasciano contaminare da altri popoli, allora è appropriazione culturale.

Se un post sui social network incolpasse l’America dell’estinzione dei dinosauri, molte persone metterebbero un like e ricondividerebbero senza notarvi nulla di strano!

Antonio Gramsci dal carcere aveva avvertito: «l’antiamericanismo è comico, prima di essere stupido»[2]. Ma le loro sue parole caddero nel vuoto.

Nel 2007 l’economia americana ed europea erano paritarie, mentre oggi, dopo solo 15 anni, quella americana è raddoppiata mentre quella europea —la medesima Europa che guarda agli USA con spocchia— è rimasta pressoché invariata. Praticamente siamo in un museo vivente, ma quanto a lungo potrà durare?

È difficile capire le cause di questa moda intramontabile, che a destra come a sinistra, si nutre del disprezzo per il progresso e sogna la decrescita (altrui). Forse l’invidia. O forse la paura della libertà. O magari semplicemente una presunta superiorità aristocratica dell’Europa nei confronti dell’America materialista.

Ma l’America, per noi tutti, è un simbolo. È il Paese che ha salvato l’Europa dal nazismo nella Seconda Guerra Mondiale, e dove milioni di persone sono arrivate, scappando dalle dittature di tutto il mondo, in cerca di libertà e di opportunità. È il Paese che ha costruito il Miracolo economico italiano grazie al piano Marshall e che ha nuovamente salvato l’Europa vincendo la Guerra Fredda. E oltre a essere il maggiore benefattore dei paesi in via di sviluppo, è tuttora in prima linea nella difesa d’Israele, di Taiwan e dell’Ucraina.

Su quest’ultima vicenda noi europei abbiamo trovato un barlume di unità solo grazie alla regia americana. Se fossimo stati abbandonati ai nostri impulsi istintivi, Putin avrebbe già vinto la sua guerra psicologica da un pezzo. Quindi, oggi con l’aggressività di stati orweilliani come Cina e Russia, che esportano solo illiberalismo, abbiamo più che mai bisogno di questo campione planetario della libertà.

Riferimenti

  1. Avventura novecentista Bontempelli, M, 1974. , pp. 35. Vallecchi.
  2. Quaderni del carcere Gramsci, A, pp. Quaderno 5 § 105.
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