Dopo di noi

Ernst Mach, View from the Left Eye (autoritratto), 1886

«Forse mi inganneranno la vecchiaia e la paura, ma sospetto che la specie umana – l’unica – stia per estinguersi e che la Biblioteca sia destinata a permanere: illuminata, solitaria, infinita, perfettamente immobile, armata di volumi preziosi, inutile, incorruttibile, segreta.»

— Jorge Luis Borges, La biblioteca di Babele

In un mondo sempre più minacciato da crisi ambientali, guerre e catastrofi naturali, l’idea che l’umanità possa estinguersi non sembra più un’ipotesi così remota. Borges anticipa con grande lucidità il senso di precarietà che accompagna la nostra esistenza. La sua visione è inquietante: se l’umanità si estingue, cosa rimarrà della nostra cultura, della nostra conoscenza, delle nostre scoperte?

Accumuliamo oggetti, inutili e preziosi, scattiamo fotografie, scriviamo libri, nel tentativo di contraddire la morte, di persuaderci che qualcosa di noi possa sopravvivere. Mettiamo al mondo figli, siamo pronti a morire per il futuro della nostra patria, percepita come una prosecuzione del noi. Ma l’eventualità dell’estinzione dell’umanità solleva importanti interrogativi esistenziali: l’immagine di una Terra immobile e disabitata, come un’immensa biblioteca senza lettori, avverte dell’inutilità della sopravvivenza della nostra eredità.

Difficile pensare di poter colonizzare altri pianeti e universi, il progresso tecnico è troppo lento. Siamo intrappolati nel nostro fragile Pale Blue Dotcfr. Carl Sagan. Una speranza può venire dall’intelligenza artificiale, oggi temuta e osannata, capace di portare nello spazio il ricordo dell’umanità ripensandolo per l’eternità. Un ricordo di noi, ma senza di noi, ma pur sempre un superamento della finitudine come necessità di significato.

La fattibilità è ancora incerta. Condizione necessaria è il riduzionismo, ossia la concezione della coscienza come epifenomeno della materia. È una concezione sgradevole poiché sminuisce il nostro antropocentrismo, ma che non possiamo ignorarla e molti indizi ci guidano verso questa direzione. Qualcuno, come Thomas NagelL’esperienza soggettiva è definita come uno “sguardo da nessun luogo”, continua a sostenere che la coscienza sia irriducibile. Anil Seth ritiene che abbia un origine materiale, ma che rimanga tuttavia incomputabile. La domanda rimane aperta.

Ma anche qualora vincessimo questa sfida, ci troveremmo di fronte all’inevitabile: il tempo dell’universo è racchiuso fra un’alfa e un’omega, dove la morte entropica ne rappresenta l’omega.

Allora, cosa rimane? Dovremmo ascoltare ancora una volta Nagel e il suo Assurdo: “Ciò che non importa fra un milione di anni non importa nemmeno ora”. Questo non è un invito al nichilismo, ma un richiamo al hic et nunc, un tentativo di riconciliarci con la nostra finitezza. Anche Marco Aurelio ci ammoniva:

«Getta via tutto, quindi, e tieni ferme solo queste poche cose, e ricorda anche che ciascuno vive solo questo presente, incommensurabilmente breve: il resto è già stato vissuto o è avvolto nell'incertezza. È poca cosa, quindi, ciò che vive ciascuno, ed è poca cosa il cantuccio della terra in cui vive; e poca cosa è anche la più duratura fama postuma: questa fama trasmessa da una generazione all'altra di omuncoli che in un attimo sono morti, e che non conoscono neppure se stessi, figurarsi poi chi è già morto da tanto tempo!»

— Marco Aurelio, Colloqui con sé stesso, libro III, 10

Vivere nel presente, in questa breve scintilla di tempo che ci è concessa, potrebbe essere l’unica risposta possibile alla vertigine dell’eternità. Di noi non rimarrà nulla, ma è in questo istante, fragile e luminoso, che risiede tutto il nostro significato.

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