Sudore e speranze


Illustrazione © absurd.design

Nella mia vita, lo sport non è un’occupazione tra le altre, uno svago spensierato, ma una solida cittadella interiore.

Amore forse un poco tardivo, contagiosa fu l’energia dei compagni che respirai durante l’ora di educazione fisica, e in un attimo cruciale trovai il coraggio per imitarli, superando l’inerzia e la titubanza. Nelle biforcazioni della vita, fu un passo lungimirante, una di quelli che, illuminato retrospettivamente, riconfermerei in eterno.

La palestra di pugilato è un microcosmo della condizione umana, in una versione più autentica, libera dalle maschere e dai formalismi dell’ufficio e delle illusioni sociali, un’ora che rinvigorisce la volontà di esistere, quando essa tende a sopirsi. In quel tempo, scandito dal dalla campana del gong, “ci scambiavamo il sudore, i silenzi e la fatica”. I pugni sono una droga, difficile spiegare quell’adrenalina, impossibile smettere, l’odore dei guantoni impregna l’aria come un richiamo irresistibile.

L’allenamento da più di quanto chiedere di dare: è azione intenzionale, la fatica di raggiungere un obiettivo soltanto perché “l’ho deciso io”, la soddisfazione per il suo raggiungimento e per aver spostato verso l’alto l’asticella del limite. E se non lo si raggiunge si ottiene comunque la vittoria più preziosa: l’incontro con la realtà, severo ma informativo. Determinarsi e trascendersi: una sensazione di potenza che ci affascina e afferma la vita, rivela aspetti della personalità e la esorta verso la sua versione migliore. Se oggi sono quello che sono, devo rendere grazie anche al fuoco sacro dello sport.

Un altro insegnamento: solo sfidando l’inerzia alleneremo il corpo, e da questa sfida riceviamo il nostro compenso. Allo stesso modo, anche il vero pensiero è nasce dal pensiero contro sé stessi. Nessuna convinzione passivamente accettata come tale potrà mai arricchire, solo un’incessante contraddizione può rompere la staticità delle barriere superando sé stessi. La forza fisica e la forza spirituale sono entrambe condizioni necessarie all’armonia interiore. Come in palestra prepariamo la gara, è nella quiete prima della tempesta che forgiamo le armi per l’Olimpiade della vita.

Ed è così che a volte basta una corsa per risvegliare lo spirito assopito. Magari in una sera autunnale, dove l’aria frizzante è inizialmente tagliente, ma dopo un po’ di batticuore, è il calore corporeo a dominare. La scenografia è sempre quella: i soliti luoghi provinciali, ma che hanno un non so che di familiare, delle briciole di poesia, momentaneo sollievo dalle angosce. Domani torneranno, ma non in questo momento, nella mia testa mi sembra di sentire un brano di Vangelis e per un attimo mi illudo di avere il mondo in mano.

Non ho mai tentato la via dell’agonismo: il realismo, la prudenza — o forse semplicemente l’inerzia — hanno avuto orientato su altre strade, ma lo sport rimane il meglio che la vita abbia offerto. Basta poco a rievocare un ricordo, come l’odore del pavimento in linoleum. E, quando mi capita di incontrare i vecchi compagni di palestra, si percepisce un’intesa sincera, forgiata dalla consapevolezza dell’aver condiviso quei giorni. Non servono parole: lo sappiamo, lo sentiamo.

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