Dio è morto, lunga vita a Dio!
Abbiamo ucciso Dio, abbiamo sbattezzato tutti e ora? che si fa?
Storicamente l’ateismo militante ha agito in buona fede. I roghi, il processo a Galileo, l’oscurantismo che ancora oggi domina nell’Islam, giustamente ci scandalizzano e ci sembra ovvio che un mondo mondato dalle religione sia necessariamente un mondo migliore.
Ma se il progresso della conoscenza scientifica e tecnica ha svelato (in parte) i misteri degli atomi e delle galassie, non ha raschiato nemmeno un millimetro del più grande enigma: l’uomo.
Galvanizzati dagli avanzamenti nelle questioni materiali, si sono bollate come secondarie le questioni spirituali, denigrandole come irrazionali, senza però considerare che il motore che muove l’uomo è proprio la ricerca di un significato alla sua esistenza e alla sua sofferenza in un universo che ne è indifferente, come analizzato da Viktor Frankl[1].
Abbiamo quindi frettolosamente ucciso Dio senza porci il problema di cosa si inserisce nel vuoto della lasciato dalla religione. E tolto Dio dal fondo dell’anima non è rimasto che un abisso senza fondoSi veda, ad esempio, la vicenda di Silvia Romano. Una zucca vuota è facilmente riempibile con ogni genere di pattume, corroborando la tesi di Ayaan Hirsi Ali..
E questo vuoto, in retrospettiva, è stato riempito da alternative spesso peggiori della religione stessa, come il marxismo, il nazionalismo estremo, la dipendenza dalle droghe. In fin dei conti le religioni hanno superato il test del tempo e, pur con i loro evidenti difetti, hanno anche portato dei valori in termini di cultura e regole di convivenza comunitaria.
In un mondo ormai post-religione, post-comunismo, post-fascista, post-globalizzazione, post-crescita-illimitata, l’angoscia esistenziale viene anestetizzata dalle serie Netflix, i viaggi low-cost e lo scroll senza fine, ovvero la nostra ruota da criceto della distrazione. Si persegue la senescenza come scopo della vita, senza accorgersi che il desiderio dell’immortalità non è altro che il desiderio di differire all’infinito il problema di dare una risposta alla domanda di significato. La crisi economica, politica, demografica della nostra era è, in ultima analisi, una conseguenza di questa crisi spirituale.
Ma non è nel ritorno di Dio che sta la soluzione. Si va avanti, non indietro. Del resto anche le religioni non sono che un altro anestetico al problema esistenziale. Ci allontanano da una risposta autentica, che non consiste nel recepire passivamente schemi preconfezionati, ma nello scrivere il diario intimo di un’esistenza unica e irripetibile. Si tratta quindi di una questione strettamente individuale che ciascun uomo deve affrontare nel silenzio della propria solitudine. Nelle società religiose, semplicemente, viene espropriata e monopolizzata la definizione e la consegna del significato.
Nella nostra situazione, dove siamo effettivamente liberiO dove, per usare le parole di Sartre, siamo “condannati a essere liberi”. occorre il coraggio di guardare in questo abisso che è la condizione umana.
È solo attraverso una ricerca autonoma, e la consapevolezza del nostro ruolo attivo nella formulazione del senso della nostra vita, che possiamo giungere al convincimento che la mia presenza, il mio essere qui e ora abbia un valore in sé, nonostante tutto. Non giungeremo a risposte definitive, ma la bottiglia è comunque mezza piena: possiamo perlomeno scartare risposte palesemente errate. Pertanto, non è quindi vero che tutto è indifferente. Il nichilismo, dunque, è ingiustificato.
Non bisogna nemmeno astenersi dal vivere per timore del dolore. Il dolore, i turbamenti dell’animo sono parte della vita. Accettare la vita significa accettarne sia le gioie che le tristezze. Solo riconoscendo la bellezza e il valore intrinseco dell’esistenza stessa troveremo la forza per continuare a vivere.
Riferimenti
- L'uomo in cerca di senso. Uno psicologo nei lager e altri scritti inediti Frankl, V.E, 2017. Franco Angeli.