Il progresso inevitabile
Anna e Elena Balbusso, Atlas Shrugged Dream
Il conservatorismo è un istinto primordiale: lottiamo per non perdere ciò che abbiamo. In quest’epoca di cambiamenti convulsi e imprevedibili, l’ottimismo verso il futuro è ormai svanito, lasciando spazio a un risentimento verso le élite, percepite come sacerdoti di un culto progressista impost dall’alto. Da questo sentimento scaturiscono visioni utopiche di una decrescita felice o narrazioni cospirative che offrono colpe facili.
Ma vi è una verità più profonda e meno consolante: né i governi, né il capitalismo, né le diseguaglianze, né i media sono la causa ultima di questo panta rei infernale. Il cambiamento — in peggio — che ci logora è infatti dovuto all’entropia, ovvero una legge fondamentale della natura che nessuna volontà popolare non potrà mai abrogare. I falsi miti del regressismo sono quindi, per l’appunto, illusori, quando non addirittura controproducenti, ed è un errore volerli credere. Possiamo infatti scegliere di ignorare la realtà, ma non possiamo scegliere di ignorare le conseguenze dell’aver ignorato la realtà.
La storia dell’Umanità è il racconto di un viaggio unidirezionale e inarrestabile da un Universo a maggior disponibilità di energia verso un Universo progressivamente più degradato. In questo senso è giustificato l’adagio nostalgico “si stava meglio quando si stava peggio”. L’innovazione — contrariamente alla convinzione comune — non si sviluppa nei periodi tranquilli per puro desiderio, ma nei periodi di magra come risposta alla necessità.
In origine tutto quanto occorreva all’uomo era immediatamente disponibile in natura. Solo quando la pressione demografica rese insufficiente la raccolta, l’umanità si vide costretta a inventare l’agricoltura. Lo stesso meccanismo spinse all’uso del carbone, dopo che le risorse forestali, più facilmente accessibili, si esaurirono all’inizio della storia moderna. Ancora: la scarsità è la madre delle successive rivoluzioni industriali e dell’attuale complessità tecnologica con tutte le sue fatiche mentali.
Strappato alla terra e alla natura dalla civiltà delle macchine, l’uomo non può che soffrire nel profondo del suo animoNon è sempre stato così. Un secolo fa Marinetti celebrava nell’automobile, simbolo di progresso e velocità, energia pura che spingeva l’uomo a dominare il tempo e lo spazio.. Ma occorre forza d’animo e accettare che non possiamo farci nulla se il “mondo è stato giovane e forte e ora è debole e vecchio”: magari non sarà il miglior mondo teoricamente possibile, ma è l’unico che abbiamo. Noi stiamo oggi vivendo una confusa fase di passaggio, intenti ad accapigliarci fra un immobilismo disperatamente aggrappato a un mondo in disfacimento e forme di progressismo irrazionale che tuttavia costituiscono semplicemente una forma alternativa di immobilismo. Gli idrocarburi sono una variabile determinante della crisi attuale.
Metabolizzare questa realtà, dal sapore apocalittico, non deve gettare nello sconforto: lLa natura umana è intrinsecamente affamata di vita](/notes/riverenza/). Ci si affidi piuttosto ai saggi insegnamenti dello stoicismo: l’ossessione per ciò che non è in nostro controllo è la via per l’infelicità. Dobbiamo quindi focalizzarci su ciò su cui possiamo agire. Si guardi la bottiglia mezza piena: non l’energia perduta, ma l’energia ancora disponibile. Il riconoscimento, attraverso la ragione, di un ordine universale cambia la prospettiva sulle cose: non più lo straniamento di chi vive contro il mondo, ma il senso di partecipazione alla totalità del tutto – la pace del marinaio che, pur non controllando il vento, impara a navigare.
Come sosteneva Darwin, non è la specie più forte o la più intelligente a sopravvivere, ma quella che si adatta meglio al cambiamento. L’unica strategia a una crescente complessità è un continuo miglioramento dei propri metodi: laddove è evidente la necessità del progresso, è al tempo stesso evidente la necessità di impegnarsi nella sua prosecuzione: è giunto il tempo di riabilitire Prometeo dalla condanna a cui lo abbiamo incatenato.
Tuttavia, è fondamentale procedere con giudizio. Le degenerazioni più tossiche del consumismo sono altrettando dannose quanto le ideologie della decrescita. La virtù, come spesso accade, sta nel mezzo. Occorre capire, numeri alla mano, quali soluzioni ci permetteranno realmente di navigare in un mondo sempre più degradato, senza eccessive controindicazioni. Ciò che con poco ci da tanto: beni di qualità e durevoli, l’energia nucleare, l’urbanizzazione, gli OGM, la meccanizzazione dell’agricoltura, la pianificazione famigliare, l’intelligenza artificiale e una struttura del lavoro altamente specializzata (anche se alienante). Tutti esempi di soluzioni concrete ma spesso impopolari: a torto considerate nemiche, sono in realtà i nostri principali alleati. Persino Gramsci polemizzava con chi in opposizione alla “grande fabbrica” predica “l’ideologia scema sul ritorno all’artigianato”[1].
Il progresso scientifico e tecnologico sta diventando un obiettivo sempre più difficile da raggiungere[2], in pratica dobbiamo impegnarci sempre di più per ottenere sempre di meno. È quindi fondamentale canalizzare i nostri sforzi e le nostre risorse sempre più oculatamente.
Nazioni come l’Olanda, Israele e la Svizzera sono esempi di successo di coesistenza fra qualità della vita, limiti territoriali, e società avanzata, smentendo ogni fatalismo. È infatti stupefacente quanto siano vivibili i Paesi Bassi, pur essendo un fazzoletto di terra densamente popolato e industrializzato. L’impressione è quella di trovarsi in una immensa città giardino: nei centri storici, così come nelle periferie il traffico è contenuto anche nelle ore di punta e qualsiasi destinazione è raggiungibile in bicicletta in completa sicurezza. E, pur disponendo di un territorio minuto, sono divenuti il secondo esportatore di cibo al mondo[3], ma le campagne conservano un paesaggio idilliaco.
Nella scarsità di risorse conviene limitare il superfluo, riconoscendo che il consumismo e il turismo frenetico non sono vie scalabili alla felicità nel lungo termine. E nemmeno la povertà non rappresenta un bene spirituale in sé, ma riduce la vita a mera sopravvivenza, priva di una dimensione spirituale. È l’introspezione a rivelare ciò che è realmente importante per noi. Lo studio, la lettura, i piaceri semplici e la frequentazione degli amici sono esempi di occupazioni gratificanti a basso consumo energetico. In fin dei conti basta poco per essere felici, ma senza abbandonarsi a illusioni primitiviste o nostalgie di stati termodinamici irrimediabilmente perduti.
Forse il problema è che domina la stanchezza, soprattutto in Europa dove la mancanza di innovazione non è altro che il sintomo della mancanza di un significato. Ma osserviamo il ciclo delle stagioni, l’alternanza del giorno e della notte, il calore: è proprio la comprensione di questa grande legge — che tutto consuma e tutto trasforma — a poterci restituire il senso di appartenenza. Non più stranieri in un universo alieno, ma cittadini a pieno titolo del cosmo. Da lì può rifiorire lo slancio vitale.
Riferimenti
- Quaderni del carcere Gramsci, A, pp. Quaderno 5 § 105.
- Stagnation and Scientific Incentives [URL] Bhattacharya, J and Packalen, M, 2020. National Bureau of Economic Research. DOI: 10.3386/w26752
- This Tiny Country Feeds the World [URL] [URL consultato il 26 agosto 2023]