Capitalismo e Pace
Il «capitalismo» è un po’ come il «diavolo» durante il medioevo, la colpa di tutti i malanni dell’umanità, fra cui ovviamente tutte le guerre. Pertanto la pace nel mondo salute arriverà solo con la distruzione del capitalismo e l’instaurazione del suo opposto, che è il socialismo.
Purtroppo però la fede cieca nelle ideologie non aiuta a ragionare e porta spesso a prendere decisioni errate. Io vorrei mostrare, a coloro non fossero ermeticamente impermeabili alla logica, che tale idea è assolutamente falsa e che è, anzi, proprio il suo contrario a essere vero.
In effetti, vi è un’immediata intuizione riguarod a come la globalizzazione favorisca la pace: maggiori intrecci commerciali interdipendenze economiche fra gli stati rendono la guerra molto meno appetibile, oltre che più complicata. Si pensi ad esempio alla nuova economia digitale e alle opportunità che offre: le conquiste territoriali oggigiorno non sono più la via più breve alla ricchezza. Va anche destituito di ogni fondamento il mito del buon selvaggio. La povertà e la guerra sono la condizione naturale dell’Uomo: solo lo sviluppo e l’impegno nel mantenimento dei risultati raggiunti lo salverà dall’Inferno sulla Terra.
E tali considerazioni non sono affatto campate per aria, ma furono sostenute dai maggiori pensatori dei secoli scorsi: Immanuel Kant, Montesquieu, Max Weber e Adam Smith.
«L’effetto naturale del commercio è il portare la pace.»
È anche facile immaginare come in una società altamente sviluppata, dove gli uomini vivono nel benessere e nell’abbondanza, ci sia meno propensione ai rischi della vita militare. E questo contribuisce a una minore proliferazione delle armi: esistono infinite possibilità di spesa più gratificanti rispetto a quella militare. Non a caso sono i regimi più oppressivi a spendere una maggior percentuale del PIL nelle armi (ad esempio, la Corea del Nord, l’Arabia Saudita e l’Iran superano gli USA in questa metrica). Purtroppo le terre meno felici sono anche più fertili per l’oppio del nazionalismo. E sono proprio le passioni a portare ai conflitti. Fateci caso: «Ogni grande orrore nella storia è stato commesso in nome di motivi altruistici.» (Ayn Rand).
Esiste pure lo studio di Erik Gartzle[1], dove viene fatto notare che le nazioni dove vigono limitate libertà economiche sono 14 volte più inclini al conflitto rispetto a quelle libere. In un altro studio, Matthew O. Jackson e Stephen Nei[2] arrivano a una simile conclusione, osservando come una maggiore interconnessione dei mercati si correli a una riduzione della bellicosità fra stati.
In Europa abbiamo un chiaro esempio di questo fenomeno: basti osservare come prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale l’isolamento economico era massimo. Successivamente, nel mondo occidentale sono proliferati trattati di libero scambio, quali la Comunità Europa (o analogamente il NAFTA) e abbiamo in effetti avuto oltre 70 anni di pace e benessere.
Oggi purtroppo le nuove generazioni che non hanno vissuto il fascismo e la Guerra Fredda, non hanno più gli anticorpi contro i totalitarismi. Questo crea un terreno fertile per nuove forme di populismo che, alimentando ad arte le paure, vorrebbero un ritorno al mercantilismo e all’isolazionismo. Dobbiamo quindi mantenere alta la guardia e perseverare nella missione che maggiormente ha contribuito e, tuttora, contribuisce alla pace nel mondo: diffondere il Capitalismo.
Mala tempora currunt
Dalla prima stesura di questi appunti, si è posto il tema di un’attualità bruciante. L’invasione russa in Ucraina, i crimini del 7 ottobre, l’aggressività cinese: è chiaro che ci troviamo in tempi difficili. Ah, il sogno della pace! Ci riempiamo tutti la bocca con la parola “pace”. Perché tutti quanti vogliamo la pace ma poi stranamente c'è sempre la guerra?
Il copione prevederebbe di additare come colpevoli i soliti vecchi alibi dell’industria delle armi e degli interessi economici. Esso ci rassicura, confinando la questione nel perimetro della razionalità. Purtroppo è illusorio e controproducente: nella guerra, la razionalità è ormai fuori dai giochi. I sentimenti negativi, come la paura, l’odio, l’invidia, la rabbia e la violenza hanno un nesso con l’angoscia della morte e questa osservazione apre una prospettiva promettete per capire perché il mondo è così feroce.
In ogni lotta c’è la percezione di poter sconfiggere la morte per mezzo della vittoria. Se prevalgo ho mostrato che sono immune alla morte e che ho sconfitto il tempo. Se questo è ciò che inconsciamente pensiamo, diventa evidente la difficoltà dell’affrancarci dalla necessità titanica di distruggere l’altro.
È l’angoscia della morte il motore della storia personale e della storia pubblica, assieme al suo sinonimo della ricerca del significato dell’esistenza. Ma spetta all’uomo dominare le passioni, poiché l'uomo soggetto alle passioni non appartiene più a se stesso, ma alla sorte, ed è così che le cose vanno più spesso per il peggio che per il meglio.
Solo una riflessione sincera e lucida sull’origine più profonda dei nostri pensieri e delle nostre azioni ci può fornire un’arma per contrastare l’irrazionalità incontrollabile. Come osserva Spinoza, “l’uomo libero, cioè colui che vive sotto la sola guida della ragione, non è guidato dalla Paura della morte, ma desidera direttamente il bene, cioè agire, vivere, conservare il proprio essere”[3].
La competizione e la cooperazione economica, rimane un potente alleato della civiltàNon una garanzia infallibile, ma certamente parte della soluzione e non parte del problema., come osservava Esiodo già anni fa:
«Sulla terra non v’era un sol genere di Contesa, bensì due ve ne sono; e mentre l’una è lodata da chi la ben conosce, l’altra è riprovevole: hanno infatti indole diversa. L’una, la triste, favorisce la guerra luttuosa e la discordia: nessun mortale l’ama di sicuro, tuttavia, per necessità, per volere degli Immortali, si coltiva questa gravosa Contesa. La Notte tenebrosa, per prima, generò l’altra, e il Cronide dall’alto trono, abitatore dell’etere, la pose nelle radici della terra: molto migliore è questa, per gli uomini: essa, infatti, esorta anche il neghittoso al lavoro. Perché l’ozioso volge lo sguardo a un altro che è ricco e che si affretta a seminare, a coltivare e a ben governare la casa; il vicino emula il vicino che alla ricchezza attende. Buona contesa è questa per i mortali: il vasaio gareggia con il vasaio, l’artigiano con l’artigiano, il povero invidia il povero, il cantore il cantore.»
Riferimenti
- The capitalist peace Gartzke, E, 2007. American journal of political science, Vol 15(1), pp. 166-191.
- Networks of military alliances, wars, and international trade jacksonm@stanford.edu, M.O.J and Nei, S, 2015. Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America, Vol 112(50), pp. 15277-84.
- Etica e trattato teologico-politico Spinoza, B, 1980. , pp. 325. UTET.