Il falso mito dell’eguaglianza
Puntuale, ogni anno, arriva il forum di Davos. E in concomitanza con quest’ultimo, il fatidico rapporto Oxfam sulla disparità sociale, accompagnato da articoli, libri, manifestazioni dove le disparità economiche “causate dal neoliberismo” sono accusate di aver impoverito i popoli. Certamente la disuguaglianza non è una virtù ed è un problema quando diventa eccessiva, quando offende la dignità delle persone, quando impedisce o blocca le potenzialità di sviluppo. Ma è necessario sfatare alcuni miti.
Innanzitutto, non è la diseguaglianza in sé a determinare il malessere del ceto medio-basso, ma il livello assoluto dei redditi di tale fascia della popolazione. Infatti esistono stati come gli USA dove le disparità economiche sono maggiori, ma la ricchezza è talmente elevata che anche chi a meno, per quanto si lamenti, in fin dei conti non muore certo di fame. Altri stati, come quelli africani, hanno invece un coefficiente di GINI basso ma ciò significa semplicemente che stanno tutti egualmente male (perché non è vero che “mal comune, mezzo gaudio”).
Del resto basta guardare dove si spostano le persone: verso gli stati più benestanti e verso le grandi città, ossia si va dove c’è più ricchezza, non dove c’è più eguaglianza. E questo vale anche per chi vive in estrema povertà, come i senzatetto: evidentemente dove si sta meglio, stanno obiettivamente meglio tuttiIn un intervento del 22 ottobre 1945 alla Camera dei Comuni inglese, Churchill dichiarò che: «il vizio intrinseco del capitalismo è la condivisione ineguale delle benedizioni. La virtù intrinseca del socialismo è l’equa condivisione delle miserie» (a patto di non lasciarsi consumare dall’invidia).
Il secondo mito invece vorrebbe la ricchezza come un gioco a somma zero, da cui ne seguirebbe che è moralmente giusto espropriare i beni a chi ne ha più, essendo che deve per forza aver “rubato”. Ma questo è assolutamente falso, in quanto la ricchezza viene creata dal nulla: supponiamo che Tizio possieda 15.000 €. Caio, che è un meccanico in gamba, inventa e costruisce un automobile e la vende a Tizio. A questo punto la ricchezza totale è pari a 30.000 €: Tizio possiede ancora beni pari a 15.000 € (e potrebbe in futuro liquidarli rivendendo l’automobile).
«Non della forza dei muscoli o dei fucili. Il benessere è il prodotto della capacità dell’uomo di pensare.»
Ma se a una diversa quantità di denaro corrisponde una diversa quantità di lavoro, allora è la redistribuzione a essere un’ingiustizia. Ed è proprio la redistribuzione a essere un gioco a somma zero. L’economica pianifica ha inoltre un lato oscuro: essa infatti ci porta a perdere la libertà e l’utopia è destinata a trasformasi in distopia.
Affermare che i poveri lo siano a causa dei ricchi equivale a dire che la Toyota è lenta per colpa della Ferrari, o che i malati sono tali per colpa dei sani. La povertà è la condizione naturale dell’uomo e spesso, accade anzi il contrario: la condizione di chi sta peggio è alleviata proprio grazie a chi sta meglio. Un esempio è l’accesso ai farmaci nei paesi in via di sviluppo, reso possibile anche dai ricavi ottenuti nei mercati più ricchi. Perseguire l’uguaglianza abbattendo chi è più in alto significherebbe trasformare il mondo in un muro della fucilazione per tutti i Leonardo da Vinci, i Michelangelo e gli Steve JobsAlvarez Lozano, Towards a New Distributive Principle of Wealth Beyond the Capitalist Market, the State and Labor. Si vorrebbe intervenire sulla varianza, quando invece ciò che conta davvero è il valor medio.
L’attenzione verso la diseguaglianza è quindi soltanto una distrazione nel discorso sulla povertà e l’esclusione sociale. Ciò che davvero va combattuta è la povertà, non la ricchezza, che deve essere incrementata: l’economia deve quindi ricominciare a crescere stabilmente affinché la coperta cessi di essere troppo corta per qualcuno. Questo concetto è stato brillantemente spiegato da Piero Angela ricorrendo alla metafora del latte di mucca.