Democrazia: il prezzo dell’indifferenza
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Capitano situazioni nella vita dove si è tentati da scorciatoie che comportano dei rischi. Ovviamente, in determinati ambiti, come la manutenzione di un aereo o di una centrale nucleare, sarebbe criminale saltare dei passaggi al fine di risparmiare tempo: può andare liscia una, due, tre volte, ma alla fine la catastrofe arriva, come imposto dalle leggi della statistica.
Anche l’ordinamento sociale è oggetto di questo dilemma: ancora oggi, di fronte all’irritante lentezza della politica, siamo sedotti dall’“uomo forte” in grado di offrire soluzioni miracolose ai nostri problemi. Tale imprudenza è stata foriera di tragedie in passato come nel presente: si pensi, ad esempio, alla Russia di Putin trascinata in una guerra sanguinaria e priva di senso, o alla politica Zero Covid della Cina o all’iperinflazione in Turchia e Venezuela. Questi popoli hanno consegnato le loro sorti nelle mani dei dittatori e ora non dispongono più di mezzi nonviolenti per opporsi alle scelte sbagliate. Come nel caso della sicurezza aeronautica, è statisticamente certo che, prima o poi, anche il potere incontrollato combina il patatrac.
Magari siamo pessimisti riguardo alla natura umana –«homo homini lupus»– e vorremmo rinunciare alla nostra libertà in favore di un’illusoria sicurezza. Dimentichiamo però che il Leviatano è anch’esso costituito della medesima natura umana!Alla fine, il potente condivide lo stesso DNA con i cittadini ordinari e, con esso, le loro fragilità, le loro paure, la loro rabbia, il loro odio. O magari, siamo affascinati dall’uomo forte perché il suo carisma surroga la nostra mancanza di senso. Il potere si basa anche su tale assunto. Purtroppo, o per fortuna, l’uomo non è un animale puramente razionale, poiché cosciente della propria condizione. Una razionalità assoluta porterebbe all’estinzione: chi farebbe figli, considerando i fastidi che comportano?
La struttura sociale non può essere informata sulla base di una nozione di umanità ideale, che esiste solo nel Iperuranio di Platone, ma occorre considerarne la brutta copia con cui siamo costretti a coesistere quotidinamanente nel nostro mondo reale. Si conviene quindi scegliere la direzione opposta: diluire il potere e, compiendo un “passo della fede”, riporre fiducia nella maggioranza delle persone, nell’aspettativa che agiscano in maniera razionale e nonviolenta. Può suscitare inquietudine, ma non abbiamo altra scelta. Del resto, se già Platone filosofava al riguardo, e, dopo oltre due millenni, nessuno ha trovato un’alternativa migliore, questa democrazia dell’uno vale uno, dobbiamo a malincuore tenercela. Ricorrendo al linguaggio statistico, si potrebbe intepretare come una priorità verso il controllo della varianza, anche a discapito di un peggioramento della media.
«È stato detto che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora.»
La democrazia non è semplice, presuppone responsabilità. La complessità politica può essere sconfortante, ma era la caratteristica differenziante della cultura greca, ed è stata al cuore della rivoluzione del pensiero razionale e, di conseguenza, della rivoluzione scientifica e in, un’ultima analisi, del nostro benessere materiale. In effetti, conversando si possono raggiungere le migliore decisioni per la comunità, e, al tempo stesso, conversando si può arrivare a comprendere il mondo.
Occuparsi della res publica è un impegno — e, in tempi frenetici come questi, l’ultima cosa che vorremmo è assumerci un impegno in più, già sovraccarichi di incombenze e sommersi da distrazioni senza fine. Eppure sottrarci a questo dovere equivale a lasciare le decisioni nelle mani di una minoranza di zeloti con i rischi che che ciò comporta. In un mondo passivo, saranno i pochi che agiscono intenzionalmente a determinarne la direzione: per questo, dobbiamo essere uno di loro. Il senso del dovere spinga quindi a essere homo politicus, ovvero consapevoli della nostra responsabilità e ad agire di conseguenza, partecipando attivamente alle decisioni che riguardano la comunità. Tale impegno è equiparabile a un costo necessario a tutelare la propria incolumità, similmente a un premio assicurativo. Come ricorda Marco Aurelio: «Ciò che non giova all’alveare, non giova neppure all’ape»Marco Aurelio, Colloqui con sé stesso, libro VI, 54. Non possiamo vivere isolati, e ci tocca quindi prenderci cura di questo alveare, o alternativamente subire le conseguenze delle cattive decisioni altrui. In questo contesto, l’egoismo è costretto a fare i conti con l’etica.
La democrazia non si riduce una mero conteggio. La sua essenza non è nel voto, ma nell’insieme delle conversazioni che lo precedono: le elezioni sono al più un rito. Per tale motivo, la democrazia diretta, caldeggiata dai movimenti dell’antipolitica rischia di rivelarsi disfunzionale: tecnicamente, è facile votare online sulle singole questioni, ma saremmo disposti a sviscerarle adeguatamente attraverso il confronto con gli altri? (trascurando oltreutto i rischi del voto elettronico). La qualità del dialogo, oggi, è profondamente degradata. Sintomi evidenti di tale cattiva salute sono il benaltrismo, l’aggressività verbale e la politica intesa come rifugio identitario, confondendo l’opposizione con la polarizzazione. È perfettamente legittimo — e forse necessario — credere in simboli. Ma questo può andare bene quando si parla di squadre di calcio; meno, invece, quando si tratta di politica, che è una variabile condizionante del benessere.
Il politico deve offrire un valore aggiunto. Non può, come un Ponzio Pilato, limitarsi a porsi alla guida del trending topic sui social networks, altrimenti non sarebbe un leader, ma un follower. Il suo mestiere consiste nel trovare una sintesi che faccia quadrare i vari desiderata e che sia compatibile con la realtà.
Le rivoluzioni politiche e sociali, da sole, sono inutili e destinate al fallimento, perché una società cambia davvero solo quando cambiano gli individui che la compongono — in altre parole, attraverso una “rivoluzione interiore”. Gli esseri umani progrediscono nella misura in cui riescono a collaborare e a perseguire un vantaggio comune. Talvolta la lentezza ha un risvolto positivo: siamo per natura conservatori, e cambiamenti troppo rapidi possono risultare distruttivi. La stabilità, inoltre, è essenziale in ambiti che richiedono visioni di lungo periodo, come lo sviluppo dell’industria nucleare.