Come affrontare la fuga dei cervelli

Nel 2019 i cittadini italiani trasferitisi all’estero sono stati 122mila[1]. Di questi uno su tre (28mila) sono laureati, soprattutto in materie STEM. Il 7% dei dottori di ricerca italiani sono emigrati in altri paesi[2]. Il costo del fenomeno, secondo Tria, ammonta a 14 miliardi all'anno, poco meno dell'1% del PIL[3] (formare un laureato costa allo Stato 108 mila euro, a cui si sommano le mancate entrate fiscali[4]). Oltretutto, questa perdita non è compensata da un’equivalente immigrazione di qualità: i migliori studenti dal mondo preferiscono il nord Europa e l’America.

Le analisi su questo tema sono ripetitive: gli stipendi sono bassi, mancano le opportunità, servono più investimenti. Ma difficilmente una soluzione arriverà dall’alto poiché manca un’autentica volontà politica: la maggior parte degli elettori sono, e sempre di più saranno, in età avanzata e quindi focalizzati sui loro interessi pensionistici.

Un miglioramento può arrivare solo dai “cervelli” stessi: in effetti, colui che ha un’istruzione alta è colui che più di tutti può essere protagonista del cambiamento. Per le discipline tecniche vi sono buone possibilità occupazionali anche in Italia, ma molti laureati preferiscono l’immediata garanzia di un maggior stipendio all’estero, rispetto a un impegno dall’esito incerto. Questo, oltre ad affossare ogni speranza per l’Italia, comporta un’inequità fiscale verso i contribuenti, rompendo così il patto sociale (questa problematica non si verifica invece con la migrazione interna, essendo la fiscalità centralizzata).

Vorrei quindi presentare una proposta al riguardo. Lasciamo che l’università sia completamente a pagamento, ma rendiamo il suo costo totalmente detraibile (sia per lavoratori dipendenti che autonomi).

In questo modo l’università, per chi rimane in Italia, sarebbe de facto totalmente gratuita e, al tempo stesso, i contribuenti sarebbero opportunamente compensati dalle entrate fiscali (un laureato mediamente, avendo una remunerazione più alta, ha anche una base imponibile più alta). Chi invece preferisce esplorare opportunità all’estero, è in ogni libero di farlo. Ma in questo modo non si regalerebbe ad altre nazioni l’investimento del tax payer italiano nei nostri studenti.

Altri stati, in particolare i nordics si sono mossi nella direzione opposta: ovvero rendendo l’istruzione universitaria totalmente gratuita. Ma in tali stati, tendenzialmente, i talenti locali rimangono in patria. Purtroppo l’Italia non è attrattiva per i talenti stranieri e non riesce a trattenere i propri, quindi non è un modello che potrebbe funzionare da noi.

Questo meccanismo penalizzerebbe le facoltà meno professionalizzanti. Questo però, in fin dei conti, è corretto: se lo studio è una passione, è giusto che i costi siano a proprio carico. Se un percorso di studi ha invece un valore sociale, come nel caso di facoltà umanistiche, è la comunità, attraverso le istituzioni, a doverlo riconoscere creando opportunità e sbocchi remunerati.

Chi non ha la possibilità di pagarsi gli studi potrebbe facilmente ricorrere a un finanziamento. Se una facoltà ha un placement del 95%, quale banca rifiuterebbe un prestito così sicuro? Si potrebbe anche includere nei costi detraibili le spese di vitto e alloggio sostenute dai fuori sede, creando così eguali opportunità indipendentemente dalla provenienza geografica.

Non posso garantire a priori che la proposta fermerebbe la fuga dei cervelli, ma sicuramente renderebbe la fiscalitĂ  piĂą giusta.

Riferimenti

  1. Iscrizioni e cancellazioni anagrafiche della popolazione residente Istat, , 2019. Statistiche report.
  2. Mobilità interna e verso l’estero dei dottori di ricerca Istat, , 2011. Focus statistiche.
  3. Tria: la fuga di cervelli fa perdere all'Italia 14 mld[HTML] [URL consultato il 7 novembre 2022]
  4. Quanto costa allo Stato un cervello in fuga?[URL] [URL consultato il 7 novembre 2022]
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